Sentirsi incapaci.
Una famiglia che ritrova le risorse nella conoscenza e nella pianificazione.
Camilla e Nicola sono una mamma e un babbo molto impegnati nel loro lavoro, uno è un creativo e l’altra una segretaria di direzione. Sono soddisfatti dai loro successi personali. Sono anche i genitori di Paolo da circa 7 anni e mezzo.
Paolo si è rivelato fin dal nido un bambino che richiedeva molta attenzione, non giocava né interagiva come gli altri.
Qualsiasi libro i suoi genitori consultassero non li aveva aiutati ad aiutarlo. Si sentivano incapaci.
Il piccolo Paolo arrivato all’infanzia ha fatto una gran fatica a mettere in pratica le regole e le routine. C’erano anche altre preoccupazioni in evidenza, come la sua scarsa capacità di giocare con gli altri bambini che lo portava spesso a risolvere con le spinte o qualche pedata.
Insomma Paolo fino ai 5 anni ha cercato di comunicare agli adulti referenti qualcosa, non trovava le parole e otteneva valanghe di richiami.
Due genitori con amore e tanta attenzione ai segnali del figlio (che a casa si trasformava in un piccolo Attila) iniziarono tuttavia a sentirsi incapaci.
Un primo lavoro con me di osservazione li indirizzò a fare delle valutazioni più approfondite in spazi sanitari specializzati, che hanno poi portato ad una diagnosi di spettro autistico lieve.
All’ingresso della primaria non erano ancora pronte tutte le carte per attivare un progetto educativo individuale. La scuola e la famiglia hanno deciso di procedere con alcuni interventi personalizzati in attesa delle documentazioni essendo il bambino davvero sveglio -sopratutto quando si riesce a coinvolgerlo.
Continuamente richiamati dalle note disciplinari dei maestri del figlio, Camilla e Nicola si sono scoraggiati di nuovo. A un certo punto fu chiesto loro di ridurre l’orario scolastico pensando di alleggerire a Paolo il carico emotivo. Questo fa spostare il disagio che il bambino iniziava a produrre verso la scuola e i compiti ai momenti a casa -in particolare con la mamma.
Camilla e Nicola entrano in Jeditors.
Vania abbiamo bisogno di te, ci sentiamo incapaci, siamo di nuovo scoraggiati, gli altri genitori sembra che ci giudichino ogni volta li incrociamo all’uscita di scuola o in chat.
Il nostro vero problema è che non sappiamo veramente come aiutare Paolo, come essere i suoi migliori esempi.
Intanto mancava loro una visione globale.
Un punto essenziale è stata “la rilettura” completa della loro storia come genitori di Paolo, un figlio con un disturbo del neurosviluppo lieve (e non un bambino cattivo, monello e disattento).
Nel progetto Jeditors- uno spazio importante è dedicato sempre all’insegnamento su come “osservare tutti i segnali, bisogni e cavolate” dei figli.
Nel caso di Camilla e Nicola, vista l’esperienza maturata in tanti anni di lavoro con la disabilità intellettiva e l’autismo, ho dedicato del tempo a spiegar loro come approcciarsi al figlio, alle sue richieste e reazioni. Nel progetto Jeditors ho costruito una struttura a tappe, ma al suo interno gli incontri sono personalizzati per le coppie (non è un videocorso!).
Un bambino dall’alta sensibilità e con una fatica a regolare le proprie emozioni va sempre pre-venuto, necessita continuamente di un ambiente adatto che lo possa contenere, e piano piano allargarsi per fargli esplorare il mondo. Noi specialisti lo chiamiamo un intervento relazionale, di integrazione sensoriale= controllare e limitare rumori, grida, cambi repentini di luce, esercizi ripetitivi, lavoro in grande gruppo e in solitaria.
Visto che Paolo viveva con fatica i compiti scolastici supplementari dati perchè frequentava un orario ridotto e questi divenivano territorio di guerriglia, ho suggerito di ai genitori di rivolgersi alla scuola con una tabella di lavoro costruita insieme:
- chiedere che investissero di un mandato speciale quei compiti a casa, per cui lui si sentisse motivato ad eseguirli
- aiutarli a costruire uno spazio comunicativo e collaborativo con gli altri genitori in modo che comprendessero le fatiche di Paolo e non lo etichettassero
- progettare un rientro a orario completo per settembre
Con Camilla che prevalentemente segue il figlio nel pomeriggio si è riflettuto sul ruolo di accompagnatrice nei compiti: quanto per il figlio fosse indispensabile che non la scambiasse per una vice-maestra, e neanche per una mamma ansiosa, controllante e rigida. Una mamma che per voglia che il figlio superasse le sue fatiche, finiva troppo spesso ad assomigliare alla signorina Rottermaier.
Così abbiamo introdotto più giardini, più incontri con altri bambini per aiutarlo nel socializzare e delegato un pò dei compiti a babbo Nicola che ha un indole davvero paziente e creativa.
Per un pò ha funzionato e bene.
Un giorno vengono dicendomi:
Vania andava tutto alla grande, non più note, non più sguardi giudicanti dei genitori…e poi la tragedia di nuovo.
Camilla si sente aggredire all’uscita di scuola, poi Nicola ai colloqui riceve un racconto sul figlio inquietante e cadono in un tranello facile:
-allora non serve a niente…Paolo è irrecuperabile
-siamo i genitori peggiori, tutti gli altri hanno figli perfetti.
Sentirsi incapaci di nuovo.
Focalizzando si osserva che il figlio in alcuni momenti della sua giornata scolastica percepisce la sua differenza dai compagni e la sua autostima necessita di rinforzi: come per Popeye servono spinaci!
Nicola e Camilla sono genitori attivi, ma hanno il vizio di guardare gli altri come parametro.
A Camilla e Nicola ho affidato una lista creata solo per i Jeditors di punti (e di spunti, esempi e altro) da percorrere per allenare la loro autostima come genitori.
Poi crearne una da insegnare al figlio e così diventare esempi concreti.
Se quando accade qualcosa di imprevisto ti paragoni con gli altri, sicuramente ne uscirai sconfitto e con un grande senso di fallimento.
Se invece ti paragoni alla versione migliore di te e a quella cerchi di arrivare ogni volta che incontri un ostacolo allora puoi farcela, perché se lo hai fatto una volta o puoi fare anche una seconda!
Il lavoro che avevano attivato con la scuola ha portato a un meeting importante di fine anno dove tutti abbiamo insieme progettato per settembre.
Alla fine del percorso, che nel loro caso ha coinciso con la fine dell’anno scolastico Camilla e Nicola hanno conquistato fiducia, una relazione meno conflittuale con il figlio, e sono andati sorridenti alla festa di classe con genitori e bambini (senza l’ansia che il figlio combinasse qualcosa e in vena di spritz!).
Le doti che hanno acquisito nel percorso sono adesso loro per sempre e la loro vita non è più un up e down di frustrazioni, ora non si sentono più incapaci hanno nuove armi genitoriali da utilizzare.
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